Un amareno è morto a Sizzano

Diario di Rorschach, 26/03/2011

Primo mattino, non un’anima in cortile, freddo pungente. Vesto leggero, conscio del caldo che esploderà al levarsi del sole, in questo pazzo inizio di primavera. Rombo lontano, come di maxi pop-corn che scoppiettano sul fuoco. Perché proprio questa immagine? Possibile che abbia sempre fame? Il rumore si avvicina sempre più. Spunta Andrea sul trattore.

Un motivo in più per affrontare con entusiasmo il lavoro nei campi è il lusso di salire su un Lamborghini. Questa volta Andrea mi permette addirittura di guidare. C’è la doppietta. Non riesco a cambiare nemmeno una marcia. Tra uno sbuffo e un sobbalzo arriviamo al frutteto, dove ci accoglie Elia, la motosega già lucidata in mano. Non posso smettere di guardarla, sono sempre stato affascinato dalle armi bianche, dal loro luccicare.

Ci dirigiamo verso il vecchio albero di amarene, coperto di muffa e di edera. Non so come si chiami l’albero di amarene, non oso chiederlo per vergogna cittadina. Decido di tentare con amareno. Mentre Andrea si arrampica con gesto felino sull’albero per assicurare la corda (un tempo sarei stato capace anch’io), Elia mi spiega in stretto Sizzanese cosa accadrà. Capisco che l’altro capo della fune sarà legato al trattore. Quindi Elia taglierà il tronco con la motosega, e il trattore avanzerà, per abbattere l’albero nella direzione desiderata. “Lo guida Andrea, però”, mi dice, “non tu. Perché è pericoloso”. “Non c’è problema”, rispondo, “sono qui per imparare”. Elia mi guarda divertito. “Lo diceva anche mio figlio quand’era un ragazzino”, esclama, “papà, prima mi fanno studiare a scuola e poi anche il campagna”. Mi faccio da parte. Elia attacca l’albero con la motosega. Rumore, sbuffi di scarico, trucioli che volano tutto intorno. Parte il trattore. Trac-bum, l’albero è a terra. Oggi un amareno è morto a Sizzano. Il mattino odora di legno polverizzato. Non può finire così, presto farò un po’ di allenamento. Elia si avvicina al tronco. Lo separerà in molti pezzi. Mi dice che un tempo era tradizione conservare il legno fino al matrimonio dei figli. Per costruire i mobili. Oggi non si usa più, le nuove generazioni acquistano a catalogo, e il resto è materiale da griglia, o da camino.

Andrea ed io ci allontaniamo. Abbiamo un’altra missione da compiere. Per un albero abbattuto, ce ne sono quattro da piantare. “Portami la gaia”, mi dice. Ci penso un po’ su. L’unica Gaia che conosco è Gaia Jupiter, il quinto Spettro di Seta, ma si è ritirata dalla scena già da tempo. Andrea nota il mio imbarazzo. “La gaia è la zappa”, precisa. Mi attrezzo e scavo delle buche profonde. Ai tempi dei Watchmen, spesso costringevo i miei nemici a scavarsi la fossa. Ora capisco che fatica facevano. Andiamo ai margini dell’orto, dove spuntano come asparagi dei ramoscelli. In verità per me potrebbero essere proprio asparagi. Andrea invece mi spiega che sono ciliegi selvatici, e ne sradica alcuni. Quindi si parte a caccia di nesti. Uno lo preleviamo proprio dall’albero abbattuto, un giovane rametto bello sano. Così l’amareno si reincarnerà. Prepariamo gli innesti, alcuni a cuneo, altri a spacco, dipende dal fusto scelto. Intorno al giunto leghiamo la rafia, una specie di nastro naturale e biodegradabile. Quindi spalmiamo del fango. Andrea mi dice che alcuni utilizzano il mastice, ma acqua e terra vanno benissimo. Inseriamo le nuove piante nelle fosse, parzialmente riempite di letame, e leghiamo il tutto ad un sostegno. Adesso mi tocca ricoprire di terra. Pensavo che questo lavoro fosse meno faticoso del precedente di scavo, ma mi sbagliavo. Bisogna evitare le zolle d’erba, e quindi spaccare di nuovo la terra. Infine, svuotiamo un innaffiatoio per pianta. Il risultato: tre ciliegi ed un amareno. L’innesto ha funzionato? Lo sapremo tra un paio di settimane, altrimenti se ne riparlerà il prossimo anno. La mia mente cittadina fa fatica a comprendere come da lì possa nascere un albero, senza l’intervento del Dr. Manhattan. Andrea mi spiega che per gli alberi da frutto è la prassi. Si mette da parte la qualità desiderata e si innesta su fusti selvatici. Mi mostra poco più in là un albero curioso, per metà fiorito e per metà ancora spoglio. E’ un suo esperimento. Si tratta di un doppio innesto: da una parte albicocco, dall’altra pruno. Il pruno fiorirà più in là. Sono sconvolto dalla creatività del lavoro contadino.

Il mattino è ancora giovane, e abbiamo ancora energie. Ci sono un melo e un pero da potare. Il principio è lo stesso della vigna, ma il lavoro è più duro, i rami più resistenti. Bisogna lasciare aria alla pianta, modellarla, immaginarne lo sviluppo affinché i rami carichi di frutti non si intreccino. Mantenere pochi (grandi) frutti per ramo è meglio che avere tante (piccole) appendici che nemmeno riescono a dividersi la linfa. Imparo a distinguere un melo da un pero, guardandone il fusto. Dividere un melo da un albicocco, da un pesco o da un pruno è ancora per me impossibile. Un passo alla volta.

Ci raggiungono le Piccole Aiutanti di Babbo Natale, supereroine di ultimissima generazione. Con loro piantiamo ancora sei barbatelle di uva da tavola. Stremati (almeno io), questa volta rientriamo. Tra i soliti sbuffi e sobbalzi, parcheggiamo il trattore in cantina. Lì Andrea ed io ci concediamo un bicchiere di bianco, direttamente dalle botti in vetroresina. Bisogna essere dei supereroi proprio disturbati per passare il resto della settimana in città, penso.

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Una risposta a Un amareno è morto a Sizzano

  1. Carta Igienica ha detto:

    Mi si fa notare che Elia è veneto. Mi cospargo il capo di cenere. Per me riconoscere il veneto dal sizzanese è ancora come distinguere il melo dal pruno. Ce la farò, prima o poi…

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